ELOGIO DEL BISCOTTO ROTTO

Ho un sacchetto da un chilo, non più vergine o intonso, di biscotti.
Ma non biscotti qualsiasi: biscotti rotti. Una grande varietà tra frollini, secchi, wafer, novellini, frolle, ricoperti, al cacao, al cocco, con il cuore di marmellata, con le gocce di cioccolato, da inzuppare, da sgranocchiare, da godere, da leccarsi le dita e chi più ne ha più ne metta. Ma tutti rigorosamente, strettamente, assolutamente, letteralmente ROTTI. Mi piacciono i biscotti rotti. Quell’imperfezione che li caratterizza, quel non poter passare per “buoni” perché diversi, pur non avendo nulla da invidiare, in termine di gusto e soddisfazione, ai frollini perfettamente composti ed esteticamente perfetti. Il biscotto rotto non ha nemmeno lo stesso valore commerciale di quello intero: costa decisamente meno. In questi giorni, ormai divenuti più di uno ma meno di tantissimi, la mente spazia e nei minuti che ci rimangono per oziare – al netto delle incombenze e delle scadenze che ci diamo per fare del nostro tempo, perlopiù libero, del “tempo organizzato”- vi capita mai di chiedervi quali siano i simboli del vostro benessere psicologico e del concetto di “qualità della vita”?
Io no.
Ahahhahah, scherzo. O non sarei qui a tirarvi questo pippone.
Torniamo a bomba: qual è il nostro/vostro concetto di qualità della vita? Cosa riteniamo indispensabile perché questo concetto/desiderio si possa esprimere appieno?
Le risposte sono tante. Tantissime. Hanno a che fare con il nostro background culturale, la nostra classe sociale, l’ambiente in cui ci troviamo a vivere (per scelta o per necessità), le nostre iterazioni sociali che determinano (e non poco) il nostro benessere soggettivo e psicologico, il nostro status professionale ed  economico. Insomma, quello che riteniamo essere la nostra “condizione ideale” sulla base delle nostre aspettative, strettamente correlate al rapporto bisogni/desideri. Che sono rigorosamente personal
Agiatezza, comfort, disponibilità economica. Accesso ai beni, ai servizi, al lusso. Vediamo (con occhi veri o virtuali) e vogliamo. Desideriamo perchè è bello, perché e sfarzoso, perché ci attira come ciò che luccica attira la gazza ladra, perché ce l’hanno anche gli altri. Perché riteniamo che ciò che abbiamo, in termini non solo di beni materiali ma anche di libertà personali, sancisce chi siamo e ciò che siamo, quale posto occupiamo nell’immenso mondo del vero e del verosimile.
A Siamo abitudinari.

 

In questo, ormai lungo, periodo in cui vorremmo continuare imperterriti a prenderci cura e a coccolare le nostre abitudini siamo invece costretti a sradicarle e crearci una routine diversa. Severa, impostata, con pochissimo spazio di manovra.
L’abitudine ci ricompensa e ci fa sentire al sicuro. Nelle nostre abitudini rasentiamo la perfezione. E’ una fatica enorme, in termini di dispendio energetico ed emotivo, cambiare in nostro modus operandi. La resistenza al cambiamento ci frega su tutta la linea.
Siamo viziati: “questo sì, questo no, questo manco se ammazzi, questo lo voglio e basta”. Ci vorrebbe un po’ di buon senso anche per i vizi. Siamo tutti un po’ seguaci di Oscar Wilde, che ci ha fornito un bell’alibi…a noi e alle nostre tentazioni. Siamo come dei puzzle, le tesserine che mancano le sostituiamo con i nostri piccoli vezzi o malvezzi. Siamo terrorizzati da quello che ci accade attorno più per paura di perdere i nostri privilegi, di dover rinunciare a quei minuscoli o enormi peccati che ci danno soddisfazione e ci fanno credere di essere liberi. Ai nostri occhi e a quegli degli altri (che spesso hanno anche un valore aggiunto).
Ecco, se oggi dovessi far assurgere a simbolo del benessere e/o del vizio un oggetto, uno qualunque, sceglierei questo sacchetto di biscotti rotti.
Noi, impegolati nei nostri falsi bisogni e piccole certezze, a volte così assurde da pretendere di aprire un sacchetto di biscotti e trovarli tutti perfettamente, desolatamente, mestamente intatti. Per poi, ironia del destino, romperli per ingozzarcene.  Li pretendiamo interi per poterli poi rompere, seguendo il nostro ingordo capriccio.
Il simbolo iperbolico della nostra agiatezza.

 

 

Monica Gasparotto
La scrittura e l’ironia sono cose serie. Esattamente come il cioccolato.

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